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IL PROGETTOUna delle prime domande a cui atleti ed allenatori cercano di dare risposta è se il volume di allenamento pianificato sia corretto. La soluzione non è poi così scontata perché di fronte ad una condizione fisica non soddisfacente i meno esperti tendono a pensare che ci sia una carenza di allenamento. Ma in realtà potrebbe essere anche un eccesso di lavoro e occorre capire dov’è lo spartiacque
Quindi qual è la reale capacità di lavoro del nostro organismo?
Esiste un parametro che ci possa aiutare a capire se stiamo esagerando?
Fino a che punto aumentare i volumi di allenamento è utile? E quando diventa controproducente?
Come abbiamo già accennato nell’articolo riguardo la supercompensazione l’allenamento sportivo incide a diversi livelli in termini di affaticamento: ad esempio i tempi di recupero dei tendini sono diversi da quelli energetici, che sono necessari al ripristino dei valori di glicogeno nei muscoli, così come sono diversi i tempi con cui le cellule muscolari danneggiate si ricostruiscono. Ma sarebbe comunque utile poter avere degli indicatori globali che ci aiutino a capire quando possiamo spingere sull’acceleratore e quando invece è importante allentare, se non addirittura interrompere l’attività per far crescere la condizione.
Per massimizzare il risultato occorre che l’organismo riceva la dose giusta di lavoro. Esattamente come accade per i farmaci, non vale il principiò che più se ne prende e più è efficace. Un eccesso di lavoro rispetto alla capacità attuale dell’organismo non solo non ci permetterà di migliorare, ma ci potrà portare in uno stato di sovrallenamento che di fatto si traduce un affaticamento persistenze.
In questi casi ci sentiamo decisamente fuori forma; allenarsi risulta sgradevole e il dilemma che ci troviamo ad affrontare è decidere se quello stato dipenda dal poco, o dal troppo allenamento. Spesso i sintomi del poco allenamento e del sovrallenamento sono molto simili.
La seconda ragione, più importante, riguarda la prevenzione infortuni. Uno stato di affaticamento eccessivo è la situazione ideale che un infortunio possa trovare.
E’ evidente che lo stato di affaticamento eccessivo ha delle ripercussioni a livello ematico (su ematocrito, emoglobina, testosterone, cortisolo, acth ecc,), ma quello che ci interessa capire oggi è come avere un monitoraggio più semplice ed immediato che si possa verificare giorno per giorno durante le sedute d’allenamento.
Un metodo empirico per avere una risposta può arrivarci da dei semplici esercizi di equilibrio.
L’affaticamento generale infatti, prima di manifestarsi a livello organico ed ormonale, interviene sulle nostre capacità propriocettive.
In pratica il primo segnale di stanchezza è un abbassamento dell’efficenza dei segnali che le zone periferiche del nostro corpo mandano al cervello, e come conseguenza di questo anche le capacità di controllo del movimento si riducono.
Quando siamo stanchi le nostre abilità attentive sono ridotte, i riflessi appannati e non è un caso se in alcuni periodi, per riuscire ad essere pronti per parte più impegnativa dell’allenamento abbiamo bisogno di un riscaldamento più lungo e più graduale del consueto. Non si tratta solo di un’attivazione organica (per così dire hardware), è soprattutto una messa in moto del sistema nervoso.
Con un po’ di pazienza la maggior parte delle volte si arriva ad essere attivi e “presenti” in modo soddisfacente, ma dobbiamo monitorare se questa fatica che facciamo ad attivarci si stia cronicizzando.
Abituarsi a fare regolarmente esercizi di equilibrio oltre ad essere un eccellente allenamento, significa anche acquisire un parametro di controllo efficentissimo. Un semplice esercizio come ad esempio stare in equilibrio su una gamba scalzi, magari tenendo le mani ai fianchi (magari anche con gli occhi chiusi), può diventare un mezzo di controllo empirico molto rapido.
Dopo un piccolo periodo di allenamento necessario a prendere dimestichezza con l’esercizio, ognuno raggiungerà una buona consapevolezza dei propri standard di abilità. A quel punto sapremo per quanto tempo indicativamente riusciamo a restare in equilibrio senza particolari difficoltà: ad esempio 5 o 10 o 30 secondi, un minuto. Anche la sensazione individuale della difficoltà incontrata è un buon indicatore. Ognuno avrà dei parametri di riferimento totalmente personali.
Facendo esercizi di questo tipo quotidianamente ci renderemo subito conto delle eventuali giornate no, quelle nelle quali abbiamo molto meno controllo del nostro corpo.
Nulla di drammatico, il sistema nervoso ci sta semplicemente dicendo che ha bisogno di riposo. Se l’attivazione è davvero difficile significa non è opportuno aggiungere ulteriore carico di lavoro su un organismo che non ha ancora recuperato il lavoro precedente; o che è semplicemente in crisi per stanchezza extra-sportiva.
Piuttosto che rischiare di prendere una distorsione o eseguire un esercizio un po’ pericoloso senza il controllo necessario, meglio dedicare queste giornate ad attività di rigenerazione, o semplicemente al riposo completo. Questo genere di infortuni accadono spesso per una ridotta capacità di attenzione e controllo. Molto più raramente per sfortuna.
In situazioni di affaticamento particolare, non solo può essere rischioso in alcune discipline allenarsi, ma è anche del tutto inutile. Il riposo è un mezzo di allenamento importante esattamente come gli altri e il corpo ha gli strumenti per capire quando ne abbiamo davvero bisogno. Impariamo ad interpretarli